Lilli Gruber sulla rubrica “7 e mezzo” del Corriere della sera 7 del 15/9/23 scrive: “Un sondaggio di Sky rivela che il 74% degli italiani ritiene che il porno giochi un ruolo nefasto nel casi di violenza sessuale contro le donne. Ma l’86% evidenzia anche la mancanza di educazione familiare, il 76% attacca la scuola e il 73% la cultura patriarcale. Quindi per la maggioranza le responsabilità sono condivise negli “eccessi” degli adolescenti, quasi tutti minorenni, che hanno commesso stupri di gruppo a Palermo e Caivano. Ma lo studio rivela anche l’immensa ipocrisia che accompagna ogni discussione sulla pornografia. L’Italia è un grande consumatore di porno online […] Come accusare “la famiglia”, se milioni di italiani adulti “arricchiscono” in totale libertà la loro vita sentimentale e sessuale con visite a siti dove ogni fantasia è permessa e illustrata con dovizia di dettagli? Come mettere in guardia i ragazzi dal consumo di materiale hot quando ne fanno uso gli stessi genitori? […] dobbiamo mobilitarci. Pretendere dai politici una rivoluzione culturale per far uscire l’Italia dall’apatia di fronte a un fenomeno che minaccia il nostro tessuto sociale, già fortemente sfibrato. Impedire ai minori l’accesso ai siti pornografici non risolve il problema, anche perché difficilissimo da realizzare. In Italia non esistono studi attendibili sul numero di adolescenti fruitori di porno online. Quello più valido è americano del 2022 e rivela che il 73% dei minori consuma materiale pornografico tra 10 e 17 anni, con un’età media di 12 anni per la prima esperienza. Ovviamente, ognuno è libero di scegliersi le sue luci rosse, ma deve sostenere i costi economici e socio-culturali. In nome dell’equità e della trasparenza del libero mercato, l’UE deve imporre ai fornitori di pornografia l’obbligo di far pagare i clienti, pena l’esclusione dal mercato europeo. In parole povere, per vedere devi pagare. E una gran parte del problema del minori sarà risolto, così come quello del consumo bulimico dl porno da parte degli adulti”.
Don Fortunato Di Noto risponde a un’intervista su Avvenire del 14/9/23: “I contenuti più estremi sono ormai fruibili con facilità fin da bambini, la conseguenza è l’erotizzazione precoce che li devìa dalla normale evoluzione, per cui diventano incapaci di costruire un’intimità sana e la loro sessualità sfocia nella violenza. Come ogni forma di dipendenza, anche l’erotizzazione precoce dà assuefazione: il fatto è che tutto quello che vedi nel porno, nella vita normale non accade – quando mai un neonato sarebbe visto come oggetto erotico? –, ma chi entra nel tunnel inizia a non distinguere più la realtà e vede nell’altro un oggetto di godimento. Per l’amore non c’è spazio, l’amore è rispetto, è tenerezza, ma loro non lo hanno imparato e quando incontreranno la ragazza da amare non lo sapranno fare […]. C’è un’ipocrisia, anche a livello istituzionale, un moralismo di facciata, che poi nei fatti non ha mai portato a niente. Premessa scomoda ma vera: la pornografia è lecita e arriva dappertutto, perché attorno all’industria del porno gira un business da 100 miliardi di dollari, migliaia di donne e di uomini guadagnano esponendo quella che si chiama in gergo “l’ipersessualità della carne”. Domanda: qualche governo avrà il coraggio di vietare l’immissione indiscriminata del porno cui tutti possono accedere senza limite alcuno? Se non riusciamo nemmeno a regolare l’accesso ai social dei bambini, come potremo blindare un’industria potentissima, pari al mercato delle armi e della droga? […] Non può esistere una privacy che non tuteli i minori, è una questione di priorità; se devo salvare i bambini non c’è privacy che tenga. C’è il problema di come costringere i provider a controllare l’età di chi si iscrive ai social o naviga? Guardi, a me basterebbe invece che si decidessero a cedere alla Polizia i dati di chi ha immesso il materiale pedopornografico sul web, non ci interessa che lo abbiano rimosso, anzi, così hanno cancellato delle prove e coperto i criminali. Per i server provider ogni clic, ogni condivisione, ogni visualizzazione sono soldi che girano. Occorre un’alleanza seria tra gli Stato e le multinazionali del settore. E soprattutto occorre quella “scuola” educante di cui parlavo all’inizio: è giusto investire nella repressione, ma se non si investe nell’educazione non funziona, posso garantire che i ragazzi, se li accompagni, capiscono e si creano gli anticorpi. Altrimenti che fai, proibisci lo smartphone a tutti i bambini? Impossibile. Ma in una società educante, e con un’alleanza seria tra Stato e provider, si può far sì che i nostri minori non cadano nelle trappole digitali”.
Fonti: Corriere della sera e Avvenire